A U T O I M M A G I N E
Nel laboratori di autoritratto, e più in generale nei laboratori di fotografia terapeutica, ho sentito l’esigenza di trovare un appellativo specifico per quelle foto che la persona porta come rappresentative del proprio mondo, come fossero degli autoritratti, pur senza essere materialmente presente nella foto. Ho scelto di chiamare autoimmagine tutti quegli autoritratti indiretti, dove il soggetto iniziale del ritratto, fotografando il mondo esterno, sceglie altri soggetti (non necessariamente persone) per rappresentare se stesso o parti di sé.
Questa questione non è banale, e porta con se una duplice lettura: cercare nel mondo esterno delle immagini che possano rappresentarci è un esercizio innanzi tutto fotografico. Inoltre guardare al mondo esterno cercando la propria immagine in ogni inquadratura apre una straordinaria porta alla creatività, perché ci costringe ad usare tutto il nostro potenziale creativo, mettendo in gioco la parte più importante che abbiamo: noi stessi.
Questo approccio è spesso utilizzato, anche inconsapevolmente, da molti fotografi che si rivedono in ogni foto che fanno: questo è spesso uno di quei segnali che ci fanno capire che abbiamo di fronte un lavoro fotografico di qualità.